Superare la resistenza di Binah e incontrare Chokmah: ricominciare un nuovo ciclo d’esistenza


Vi perdono, vi perdono tutti,
se siete stati voi ad avermi portato qui fino a Lei.

Era Halloween, e dopo aver letto i tarocchi per tutta la serata avevo trovato e adottato casualmente un cappello da strega, che adesso continuava a staccarsi dalla parete e girare per la camera mosso dal vento, e come nelle più classiche favole, me lo ritrovavo sempre in giro, come fosse vivo. Nella mia testa mi piaceva immaginare, umanizzandolo, che la sua irrequietezza derivasse dal non voler stare appeso ad un chiodo, nella camera di una strega che aveva abbandonato la sua scopa e il suo calderone per ritirarsi sui polverosi libri universitari. Sotto esame, spazientita dall’ennesima fuga (per poco non volava via dal balcone), lo poggiai nell’angolo più buio e polveroso della stanza.
Il primo giorno di ciclo non aiutava la mia concentrazione, e il mio animo muoveva la mia attenzione, ora, verso un nuovo monile: una statua devozionale in bronzo della Dea Kali, riportatami dall’India. L’antico amore adolescenziale per i Deva Hindu, mi spinse in questo tardo pomeriggio d’Agosto a rimettermi seriamente all’opera. Sotto gli auspici e le direzioni del Daimon mi ci volle poco per confezionare un altare degno e aprire una meditazione davanti all’idolo e alla fiamma di una candela, uniti nel sacro vincolo dell’incenso. Conoscevo ciò che mi serviva: i mantra, un paio di tecniche di respirazione ma soprattutto, il significato di quello che stavo facendo.
A terra la stanza sembra più grande; è strano per me tener la schiena così dritta, ma davanti alla Grande Madre Kali nessuno sforzo né fatica. Nell’aria umida e satura di fumo il respiro era lento, con lo sguardo fisso su di Lei, ho iniziato la mia concentratissima discesa nell’immobilità dello stato meditativo.
Un soffio, come vita, per scostare un rivolo di fumo più fastidioso di altri dalla narice del naso, è arrivato fino alla statua, la cui immagine ha iniziato a vibrare sotto i miei occhi. Io sono Lei, Lei è me. Immobile, lo scattino lungo la spina dorsale che conoscevo bene e poi, la perdita parziale della percezione del corpo.
“Ben tornata.” Penso tra me e me, ma ecco che qualcosa si muove, nell’angolo buio e polveroso…è…è il cappello! La sua falda si sta muovendo, sta tremando come le scope di Topolino Apprendista Stregone. “Non ci credo, è uno scherzo dai. Manco Harry Potter.”
Lo prendo in mano e lo guardo: mi passano davanti agli occhi fumetti, cartoni animati, film e serie tv. Una pressione sulla sommità della testa si fa sentire; osservo tutto: la forma così mainstream del cappello a punta, Kali la Nera difronte a me… è un risveglio. Una strega si è risvegliata, anzi no, termine antipatico, una YOGINI si è risvegliata: inizio il canto dei santi nomi di Kali. Le lacrime scendono sul viso, fino al collo; piango come se avessi ritrovato mia madre, piango perché ho ritrovato la Madre.
Piango e invoco i nomi di qualcosa che conoscevo bene, piango perché c’è nostalgia in quel canto. Non sto scoprendo, sto ricordando una appartenenza atavica a qualcosa più forte di qualsiasi altra. Piango perché sento la mia energia femminile fluire metafisicamente in un posto consono della manifestazione del Mondo: è perfetto.
Il mio fato è tornato a intrecciarsi assieme ai fiori meravigliosi tra i capelli della Grande Madre. Il mio futuro è meno grigio, perché la sua manifestazione si è riempita di un senso tragico e pesante: devozionale. E ciò che mi resta di questo pomeriggio è la calma quieta, senza più isterie né la condanna, della natura profana dell’ego incarnato e frustrato.
Non importa ciò che sono stata né per quanto tempo: siamo obbligati noi più di altri, che ci interroghiamo costantemente su noi stessi, ad essere qualcuno di diverso ogni giorno. Ricomincerò tutto da capo.
Fermo restando che dobbiamo sempre mettere in discussione ciò che viviamo su di un piano spirituale per rimanere fedeli a noi stessi, per lo stesso motivo, non possiamo neanche negare in toto ciò che abbiamo vissuto in prima persona, perché è quello che ci ha resi ciò che siamo.

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