Interpretazione esoterica della poesia di Eugenio Montale “Gli uomini che si voltano”, dalla raccolta “Satura” (1971).
Non sono riuscita a reperire informazioni sull’appartenenza o meno del poeta Eugenio Montale a qualche realtà iniziatica, e da ciò che ho potuto appurare, effettivamente non è stato iniziato a nessuna tradizione esoterica; tuttavia, per chi ha dimestichezza con alcuni argomenti, appare abbastanza palese, in questa lirica, il rimando a un simbolismo relativo ad un percorso di perfezionamento ed evoluzione interiori, e viene quindi spontaneo interpretare la lirica sotto questo aspetto. Questo, per dire che nonostante il poeta non intendeva riferirsi direttamente a certe simbologie tradizionali specifiche, non significa che fosse insensibile e ignorasse alcune tematiche, o che i suoi scritti non volessero esprimere con la stessa finalità, le intenzioni di un “addetto ai lavori”.
Gli uomini che si voltano
Probabilmente
non sei più chi sei stata
ed è giusto che così sia.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
Metterli controluce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema
che ti abbagliava.
Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla. Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera,
tu la sola vivente,
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.
Non me lo chiedo neanch’io. Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
a chi cammina incolonnato come ora
avviene a noi se siamo ancora in vita
o era un inganno crederlo. Si slitta.
Interpretazione:
Probabilmente
non sei più chi sei stata
ed è giusto che così sia.
La poesia inizia con una presa di coscienza: qualcosa è mutato dentro chi ascolta. È una considerazione di una voce esterna: il poeta in questo caso interpreta la figura di un daimon.
Il cambiamento è inteso come atto slegato dalla volontà umana. L’iniziato appare quasi vittima del sé risvegliato: “ed è giusto che così sia” – ognuno di noi è portato a ricoprire il suo posto nella gerarchia del Mondo. Esistono delle leggi naturali inviolabili, a cui non possiamo sottrarci. Il dubbio, che persino l’iniziato, il santo, il religioso più fedele, sia stato caro alla piramide di questa meccanica occulta delle cose prima ancora di nascere, e che la sua non sia scelta, ma atto di natura. Scriveva Platone dalla bocca di Socrate “I santi sono cari agli dei in quanto santi, o sono santi in quanto cari agli dei?”. Non mi è dato sapere. Nella lirica il cambiamento è avvenuto, forse; l’interlocutrice si trova in uno stato che non può essere riconvertito, ma che è previsto dalla giustizia dell’ordine delle cose. In qualche modo ciò che deve accadere accadrà: è un concetto ricorrente.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Uno dei principali concetti della simbologia massonica, basata tutta su allusioni muratorie e architettoniche, è il paragone dell’iniziato ad una pietra ruvida, da “sgrossare”, da levigare. Tale paragone simboleggia l’espoliazione dell’iniziato dalla materia grezza a favore della perfetta forma assunta nella pienezza dello spirito. In questo caso, la carta a vetro ha levigato le venature scure dell’animo della protagonista della lirica, riportandola ad una uniformità e purezza autentiche, archetipali.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
La necessità della vita materiale, come strumento per la reintegrazione dell’essere. Quel “pure” ci lascia con il ricordo, la certezza di aver fatto comunque qualcosa di questa nostra vita: che ha senso, sì, dopotutto, vivere e morire, ridere sotto sole, e spaccarsi in mille pezzi piangendo nel profondo buio accartocciati su noi stessi. Ne vale la pena, e qualcosa è stato pur fatto, e no, tutto questo ancora una volta non esula da quel senso, quell’ordine delle cose tutte che permea le dinamiche dell’Universo.
Metterli controluce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema
che ti abbagliava.
Si vive secondo un senso, ma solo chi lo percepisce può dirsi iniziato. È l’approccio consapevole alla vita, dei pochi che lo hanno compreso.
Mettere i fogli controluce potrebbe voler dire filtrare le nostre azioni secondo un livello superiore di conoscenza, ossia, valutare le nostre azioni dall’alto, da esterni, senza coinvolgimento. Le azioni filtrate secondo quest’ordine formano un geroglifico, ossia ci restituiscono il senso archetipale e simbolico di tutti gli accadimenti della nostra vita. Sempre secondo la concezione gerarchizzata del Mondo, gli archetipi appartengono a un livello superiore di esistenza (per i cabalisti, Olam Atziluth, per i fautori della tripartizione, il Mondo Spirituale oltre l’astrale...). L’archetipo geroglifico, restituitoci dal giudizio consapevole delle azioni scritte sui fogli delle nostra vita, attraverso la luce/conoscenza, è ben più autentico del “diadema”: il falso ego, che ci abbagliava facendoci credere in pieno potere della nostra esistenza materiale.
Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
L’aliscafo è un tipo di imbarcazione nota per galleggiare spinta dal suo stesso peso e navigare emersa totalmente dall’acqua. Questa immagine, si contrappone ai fondali d’alghe, che non solo rendono l’idea di profondità, ma anche di confusione, offuscamento, scarsa visibilità. L’acqua è la sostanza (l’Azoth direbbero gli alchimisti) che lega le due immagini, e il suo confine, come un velo, le separa: la superficie dal fondo – ma sempre permeato d’acqua. La protagonista si è sottratta da tutto questo: non apparirà più né dalla superficie chiara sull’aliscafo né dalla profondità torbida dei fondali d’alghe.
Il cammino speculativo e operativo dell’iniziato prevede che egli più volte si cali nelle acque del Mondo, di sé stesso, in una tortuosa danza fatta di immersioni e di riemersioni continue. È da questi cambi di quota che come embolo nei polmoni emerge il vero sé. Ma ad un certo punto ci si sottrae anche da questo, “non più” – ci si sottrae dall’esperienziare l’acqua, un salto, nel percorso di evoluzione personale; si mette un punto, si tira una linea, e poi una pausa, un sospiro di sollievo: il grosso è fatto: hai imparato a nuotare.
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla.
L'esoterista, e l’occultista, hanno molto in comune con chi pratica apnea: la sfida che ci si pone ogni volta è quanto a fondo ci si può immergere. Sai dall'inizio di avere una quantità irrisoria di ossigeno a disposizione, e più scendi più senti la fatica e i polmoni scoppiare. Ma soprattutto, sai che se non valuti bene la quantità di ossigeno rimasto per tornare in superficie, e ti spingi troppo a fondo, non torni indietro.
Cosa ci spinge a farlo? “Dare senso al nulla”. È il senso delle proprie azioni di cui parlavo sotto i versi precedenti. È sinonimo dell’atto di mettere controluce i fogli della propria vita, su cui, nero su bianco, abbiamo razionalizzato le coincidenze del nostro percorso. Allo stesso modo, con una immagine diversa, come “sommozzatrice di fangose rapide” dobbiamo cercare, sporcarci. È il V.I.T.R.I.O.L. massonico: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem. È la simbologia orientale del loto: nasce dal fango, e fiorisce sulla superficie senza sporcarsi. Ce lo ha detto Cristo nel Vangelo (Giovanni, 17:14) e ce lo ricorda l’aspetto di alcune divinità Hindu rappresentate con un piede a terra e uno sollevato: noi siamo al Mondo, senza essere del Mondo.
E così, con questa certezza, siamo scesi, siamo risaliti e adesso trascendiamo, per farci Signori della Settima Lama del Taro, e continuiamo la nostra ascensione.
Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
Ci si sottrae dall’esperienziare l’acqua e si passa all’aere: il percorso di sposta su un livello superiore (cabalisticamente, dopo aver attraversato gli alberi sephirothici degli Olam inferiori, si percorre quello di Olam Atziluth).
Si scendono le scale (“automatiche”, quindi senza sforzo) per raggiungere i “templi di Mercurio”, una figura divina che impersona un tramite tra noi e la conoscenza.
Si scendono le scale per raggiungere un templio, si scende per salire: il “nosce te ipsum”, del tempio di Apollo a Delfi.
Una meccanica analoga si ritrova in “Attraverso lo specchio e quel che Alice mi trovò” di L. Carroll: Alice, in un mondo di fantasia che replica una scacchiera, per avvicinarsi ad un luogo deve allontanarsene. È il processo del rinchiudersi in sé stessi e raggiungere il distacco necessario per continuare il percorso di espoliazione dal mondo materiale.
tra cadaveri in maschera,
I “cadaveri in maschera” sono i profani, coloro che non hanno intrapreso un percorso di ricerca del vero sé, e quindi indossano ancora la “maschera” del falso ego. Cadaveri perché non avendo preso parte ai misteri, non hanno avuto accesso all’immortalità – dunque il loro transitorio stato di mortali, su di un piano senza tempo, li rende già morti.
tu la sola vivente,
“Sola” come l’iniziato e l’incomunicabilità della sua esperienza. “Vivente” è l’appellativo che viene dato a Cristo nello gnostico “Libro di Jeu”, con lo stesso senso con cui vengono citati i “cadaveri in maschera” nei versi precedenti.
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
Un percorso spirituale, iniziatico o meno, ci mette di fronte a noi stessi, nel modo più crudo e spietato possibile. Arrivati ad un certo punto, viene davvero da chiedersi perché realmente mettere così duramente in discussione noi stessi e ciò che abbiamo intorno per come li conosciamo, e ci chiediamo se siamo stati spinti con l’inganno nel vagare nell’esperienza dell’incertezza e delle paranormali epifanie notturne, se sia stata una nostra scelta, o semplicemente la volontà di appartenere a una comunione di fratelli e sorelle. Non cadere nella tentazione di porsi queste domande vuol dire che abbiamo raggiunto uno stato di quiete, e che percepiamo perfettamente il senso di giustizia, intesa come forza regolatrice metafisica, nelle cose che ci sono accadute.
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.
Anche se continuiamo ad avanzare in questo mondo armati di maggiore conoscenza e una percezione delle cose amplificata, siamo comunque soggetti alle dinamiche della materia sensibile, che nonostante seguano regole meccaniche, data la loro complessità e il numero infinito di variabili, spesso ci appaiono caotiche. Siamo soggetti a numerose influenze, vittime degli eventi, della cieca feroce natura, degli astri e delle forze arcontiche. Nella sofferenza, il nostro campo visivo si riduce, e ci sentiamo vittime sacrificali prescelte di un fato insensato.
Non me lo chiedo neanch’io.
È la sospensione del giudizio, di ciò che ancora non comprendiamo. Capire il limite di ciò che ci è dato conoscere in un dato momento del nostro percorso personale, è un sintomo positivo. Il dubbio, in sé, è una presenza positiva, la consapevolezza di non sapere, ancora meglio.
Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
Ricorre il senso di umiltà del poeta-daimon e di “chi cammina incolonnato”, che non manifesta avidità di una conoscenza che non gli compete.
a chi cammina incolonnato come ora
In colonna secondo un ordine. È l’ordine gerarchico celeste (“De coelesti gerachia”, Dionigi l’Areopagita) che tocca tutti gli esseri viventi. In terra, è la struttura iniziatica simboleggiata dalla piramide.
avviene a noi se siamo ancora in vita
…poiché non tutti sopravvivono a un percorso iniziatico. Alcuni “affogano” nelle acque del Mondo, non sopravvivono alle prove del percorso. Altri non resuscitano dalla morte iniziatica. Solo chi muore due volte vive in eterno.
o era un inganno crederlo.
Rimane il dubbio se tutto ciò abbia realmente un senso, rimane il dubbio, da uomini di conoscenza, se sia davvero certo ciò che abbiamo appreso.
Si slitta.
Rimane solo il senso di questa vita, spogliata da ogni illusione, questo senso di movimento continuo, di rimestamento eterno. “Siamo” e nulla di più…cos’altro di più, ora che abbiamo tolto tutto il resto? Diventiamo.
Dopotutto chi si volta, dal titolo della lirica, è perché ha lasciato qualcosa indietro.
Gli uomini che si voltano
Probabilmente
non sei più chi sei stata
ed è giusto che così sia.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
Metterli controluce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema
che ti abbagliava.
Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla. Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera,
tu la sola vivente,
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.
Non me lo chiedo neanch’io. Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
a chi cammina incolonnato come ora
avviene a noi se siamo ancora in vita
o era un inganno crederlo. Si slitta.
Interpretazione:
Probabilmente
non sei più chi sei stata
ed è giusto che così sia.
La poesia inizia con una presa di coscienza: qualcosa è mutato dentro chi ascolta. È una considerazione di una voce esterna: il poeta in questo caso interpreta la figura di un daimon.
Il cambiamento è inteso come atto slegato dalla volontà umana. L’iniziato appare quasi vittima del sé risvegliato: “ed è giusto che così sia” – ognuno di noi è portato a ricoprire il suo posto nella gerarchia del Mondo. Esistono delle leggi naturali inviolabili, a cui non possiamo sottrarci. Il dubbio, che persino l’iniziato, il santo, il religioso più fedele, sia stato caro alla piramide di questa meccanica occulta delle cose prima ancora di nascere, e che la sua non sia scelta, ma atto di natura. Scriveva Platone dalla bocca di Socrate “I santi sono cari agli dei in quanto santi, o sono santi in quanto cari agli dei?”. Non mi è dato sapere. Nella lirica il cambiamento è avvenuto, forse; l’interlocutrice si trova in uno stato che non può essere riconvertito, ma che è previsto dalla giustizia dell’ordine delle cose. In qualche modo ciò che deve accadere accadrà: è un concetto ricorrente.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Uno dei principali concetti della simbologia massonica, basata tutta su allusioni muratorie e architettoniche, è il paragone dell’iniziato ad una pietra ruvida, da “sgrossare”, da levigare. Tale paragone simboleggia l’espoliazione dell’iniziato dalla materia grezza a favore della perfetta forma assunta nella pienezza dello spirito. In questo caso, la carta a vetro ha levigato le venature scure dell’animo della protagonista della lirica, riportandola ad una uniformità e purezza autentiche, archetipali.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
La necessità della vita materiale, come strumento per la reintegrazione dell’essere. Quel “pure” ci lascia con il ricordo, la certezza di aver fatto comunque qualcosa di questa nostra vita: che ha senso, sì, dopotutto, vivere e morire, ridere sotto sole, e spaccarsi in mille pezzi piangendo nel profondo buio accartocciati su noi stessi. Ne vale la pena, e qualcosa è stato pur fatto, e no, tutto questo ancora una volta non esula da quel senso, quell’ordine delle cose tutte che permea le dinamiche dell’Universo.
Metterli controluce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema
che ti abbagliava.
Si vive secondo un senso, ma solo chi lo percepisce può dirsi iniziato. È l’approccio consapevole alla vita, dei pochi che lo hanno compreso.
Mettere i fogli controluce potrebbe voler dire filtrare le nostre azioni secondo un livello superiore di conoscenza, ossia, valutare le nostre azioni dall’alto, da esterni, senza coinvolgimento. Le azioni filtrate secondo quest’ordine formano un geroglifico, ossia ci restituiscono il senso archetipale e simbolico di tutti gli accadimenti della nostra vita. Sempre secondo la concezione gerarchizzata del Mondo, gli archetipi appartengono a un livello superiore di esistenza (per i cabalisti, Olam Atziluth, per i fautori della tripartizione, il Mondo Spirituale oltre l’astrale...). L’archetipo geroglifico, restituitoci dal giudizio consapevole delle azioni scritte sui fogli delle nostra vita, attraverso la luce/conoscenza, è ben più autentico del “diadema”: il falso ego, che ci abbagliava facendoci credere in pieno potere della nostra esistenza materiale.
Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
L’aliscafo è un tipo di imbarcazione nota per galleggiare spinta dal suo stesso peso e navigare emersa totalmente dall’acqua. Questa immagine, si contrappone ai fondali d’alghe, che non solo rendono l’idea di profondità, ma anche di confusione, offuscamento, scarsa visibilità. L’acqua è la sostanza (l’Azoth direbbero gli alchimisti) che lega le due immagini, e il suo confine, come un velo, le separa: la superficie dal fondo – ma sempre permeato d’acqua. La protagonista si è sottratta da tutto questo: non apparirà più né dalla superficie chiara sull’aliscafo né dalla profondità torbida dei fondali d’alghe.
Il cammino speculativo e operativo dell’iniziato prevede che egli più volte si cali nelle acque del Mondo, di sé stesso, in una tortuosa danza fatta di immersioni e di riemersioni continue. È da questi cambi di quota che come embolo nei polmoni emerge il vero sé. Ma ad un certo punto ci si sottrae anche da questo, “non più” – ci si sottrae dall’esperienziare l’acqua, un salto, nel percorso di evoluzione personale; si mette un punto, si tira una linea, e poi una pausa, un sospiro di sollievo: il grosso è fatto: hai imparato a nuotare.
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla.
L'esoterista, e l’occultista, hanno molto in comune con chi pratica apnea: la sfida che ci si pone ogni volta è quanto a fondo ci si può immergere. Sai dall'inizio di avere una quantità irrisoria di ossigeno a disposizione, e più scendi più senti la fatica e i polmoni scoppiare. Ma soprattutto, sai che se non valuti bene la quantità di ossigeno rimasto per tornare in superficie, e ti spingi troppo a fondo, non torni indietro.
Cosa ci spinge a farlo? “Dare senso al nulla”. È il senso delle proprie azioni di cui parlavo sotto i versi precedenti. È sinonimo dell’atto di mettere controluce i fogli della propria vita, su cui, nero su bianco, abbiamo razionalizzato le coincidenze del nostro percorso. Allo stesso modo, con una immagine diversa, come “sommozzatrice di fangose rapide” dobbiamo cercare, sporcarci. È il V.I.T.R.I.O.L. massonico: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem. È la simbologia orientale del loto: nasce dal fango, e fiorisce sulla superficie senza sporcarsi. Ce lo ha detto Cristo nel Vangelo (Giovanni, 17:14) e ce lo ricorda l’aspetto di alcune divinità Hindu rappresentate con un piede a terra e uno sollevato: noi siamo al Mondo, senza essere del Mondo.
E così, con questa certezza, siamo scesi, siamo risaliti e adesso trascendiamo, per farci Signori della Settima Lama del Taro, e continuiamo la nostra ascensione.
Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
Ci si sottrae dall’esperienziare l’acqua e si passa all’aere: il percorso di sposta su un livello superiore (cabalisticamente, dopo aver attraversato gli alberi sephirothici degli Olam inferiori, si percorre quello di Olam Atziluth).
Si scendono le scale (“automatiche”, quindi senza sforzo) per raggiungere i “templi di Mercurio”, una figura divina che impersona un tramite tra noi e la conoscenza.
Si scendono le scale per raggiungere un templio, si scende per salire: il “nosce te ipsum”, del tempio di Apollo a Delfi.
Una meccanica analoga si ritrova in “Attraverso lo specchio e quel che Alice mi trovò” di L. Carroll: Alice, in un mondo di fantasia che replica una scacchiera, per avvicinarsi ad un luogo deve allontanarsene. È il processo del rinchiudersi in sé stessi e raggiungere il distacco necessario per continuare il percorso di espoliazione dal mondo materiale.
tra cadaveri in maschera,
I “cadaveri in maschera” sono i profani, coloro che non hanno intrapreso un percorso di ricerca del vero sé, e quindi indossano ancora la “maschera” del falso ego. Cadaveri perché non avendo preso parte ai misteri, non hanno avuto accesso all’immortalità – dunque il loro transitorio stato di mortali, su di un piano senza tempo, li rende già morti.
tu la sola vivente,
“Sola” come l’iniziato e l’incomunicabilità della sua esperienza. “Vivente” è l’appellativo che viene dato a Cristo nello gnostico “Libro di Jeu”, con lo stesso senso con cui vengono citati i “cadaveri in maschera” nei versi precedenti.
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
Un percorso spirituale, iniziatico o meno, ci mette di fronte a noi stessi, nel modo più crudo e spietato possibile. Arrivati ad un certo punto, viene davvero da chiedersi perché realmente mettere così duramente in discussione noi stessi e ciò che abbiamo intorno per come li conosciamo, e ci chiediamo se siamo stati spinti con l’inganno nel vagare nell’esperienza dell’incertezza e delle paranormali epifanie notturne, se sia stata una nostra scelta, o semplicemente la volontà di appartenere a una comunione di fratelli e sorelle. Non cadere nella tentazione di porsi queste domande vuol dire che abbiamo raggiunto uno stato di quiete, e che percepiamo perfettamente il senso di giustizia, intesa come forza regolatrice metafisica, nelle cose che ci sono accadute.
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.
Anche se continuiamo ad avanzare in questo mondo armati di maggiore conoscenza e una percezione delle cose amplificata, siamo comunque soggetti alle dinamiche della materia sensibile, che nonostante seguano regole meccaniche, data la loro complessità e il numero infinito di variabili, spesso ci appaiono caotiche. Siamo soggetti a numerose influenze, vittime degli eventi, della cieca feroce natura, degli astri e delle forze arcontiche. Nella sofferenza, il nostro campo visivo si riduce, e ci sentiamo vittime sacrificali prescelte di un fato insensato.
Non me lo chiedo neanch’io.
È la sospensione del giudizio, di ciò che ancora non comprendiamo. Capire il limite di ciò che ci è dato conoscere in un dato momento del nostro percorso personale, è un sintomo positivo. Il dubbio, in sé, è una presenza positiva, la consapevolezza di non sapere, ancora meglio.
Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
Ricorre il senso di umiltà del poeta-daimon e di “chi cammina incolonnato”, che non manifesta avidità di una conoscenza che non gli compete.
a chi cammina incolonnato come ora
In colonna secondo un ordine. È l’ordine gerarchico celeste (“De coelesti gerachia”, Dionigi l’Areopagita) che tocca tutti gli esseri viventi. In terra, è la struttura iniziatica simboleggiata dalla piramide.
avviene a noi se siamo ancora in vita
…poiché non tutti sopravvivono a un percorso iniziatico. Alcuni “affogano” nelle acque del Mondo, non sopravvivono alle prove del percorso. Altri non resuscitano dalla morte iniziatica. Solo chi muore due volte vive in eterno.
o era un inganno crederlo.
Rimane il dubbio se tutto ciò abbia realmente un senso, rimane il dubbio, da uomini di conoscenza, se sia davvero certo ciò che abbiamo appreso.
Si slitta.
Rimane solo il senso di questa vita, spogliata da ogni illusione, questo senso di movimento continuo, di rimestamento eterno. “Siamo” e nulla di più…cos’altro di più, ora che abbiamo tolto tutto il resto? Diventiamo.
Dopotutto chi si volta, dal titolo della lirica, è perché ha lasciato qualcosa indietro.
Mi sono imbattuto casualmente in questa poesia, ieri, durante le celebrazioni per la nascita di Eugenio Montale. Ho trovato questa interpretazione sublime, e mi ha aperto squarci e visioni sublimi.
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